giovedì 15 dicembre 2011

LEZIONI SPIRITUALI PER GIOVANI SAMURAI di YUKIO MISHIMA

Questa volta prendiamo tra le mani un'opera di scarsa maneggevolezza, soprattutto per chi ha passato gran parte della sua vita in ambienti politici legati alla cultura di sinistra.
L'etica raccontata in questo scritto è ostica, di difficile comprensione, ma ora più che mai si rende necessario questo sforzo interpretativo. Le tensioni sociali che stiamo attraversando in questo periodo storico aumentano le azioni singole di persone con un background appartenente ad un mondo che affonda le sue radici anche in quella moralità espressa da Mishima stesso.


Yukio Mishima nasce a Tokyo nel 1925, in una famiglia borghese. Viene sottratto alla madre appena nato e cresciuto dalla nonna paterna, donna con una solita cultura artistica e legata ai valori del Giappone tradizionale. Avrà su di lui una grande influenza non solo teorica ma anche pratica, sceglierà per lui gli studi e lo indirizzerà verso un'educazione rigida e militare.
Ma la poesia farà presto capolino nella sua vita, inizierà da molto giovane a scrivere per il giornale della scuola e questa sarà una passione che lo accompagnerà sempre, anche durante gli studi di Giurisprudenza e il primo impiego come funzionario pubblico. (che in seguito lascerà per dedicarsi completamente alla scrittura, ma sempre dopo aver ottenuto l'approvazione della famiglia).

Vive una vita da scrittore controverso: celebrato all'estero, stroncato , quasi sbeffeggiato, in patria.
Si dichiara costantemente “apolitico” , ma il suo mondo di riferimento è quello della destra ultraconservatrice, ed è proprio da questo mondo che verrà ripreso e diffuso.

Lo scrittore si rifà ad un ideale ormai perduto di Giappone, un'astrattezza che viene incarnata dall' Imperatore, una figura amata e celebrata, ma non in quanto personaggio storico o autoritario, ma proprio come incarnazione dello Spirito Giapponese.
Fonda l' Associazione degli Scudi : un'organizzazione di 100 giovani selezionati da Mishima stesso, un vero e proprio esercito che pero' ha puramente una funzione simbolica. Si pongono come “guardia personale dell'Imperatore” , difendono quindi l'ideale del Giappone dall'inquinamento estero, salvaguardando l'etica tradizionale.
Mishima fonda questo esercito paramilitare anche in aperta critica contro il Trattato di S. Francisco del 1951, dove viene sancita la sottomissione del Giappone agli Stati Uniti e viene ratificato l'ordine di non possedere un esercito.
Ma l'esercito, l'azione militare, per lo scrittore è uno dei valori fondanti della società giapponese. Togliere questa possibilità significa castrare una nazione, pervertire le menti dei giovani e corromperle con la vuotezza della società occidentale.

Mishima arriva al 25 Novembre 1970 , il suo ultimo giorno di vita. Dopo aver occupato simbolicamente il Ministero della Difesa e aver letto il suo famoso proclama sulla terrazza del palazzo, in diretta tv, esegue il Seppuku, il suicidio rituale.
Si trafigge lo stomaco con la sua personale spada e, immediatamente dopo, viene decapitato dal suo prediletto. Il quale pero' sbaglia per ben due volte il colpo di grazia e decide così di suicidarsi in quel momento per la vergogna.

In questo bagno di sangue sfocia la sua scrittura, la sua azione. E non poteva essere altrimenti.


Per Mishima, infatti, la scoperta della verità è frutto dell'unità tra azione e pensiero. Trae ispirazione direttamente da Wang Yang Ming (1475-1529) e la sua etica dei Samurai, che diventa l'essenza della Giapponesità.
I dubbi esistenziali degli uomini devono trarre la loro naturale conclusione e risoluzione in un linguaggio definito “di carne” , contrapposto alla vacuità di quello di sole parole.
Le parole che accompagnano questa ricerca devono essere: riserbo, lealtà, spiritualità.

La filosofia dell'azione, che è il cammino di ogni samurai, è teso verso un obiettivo. Compagna di questo percorso, la propria spada. La quale, pero', non bisognerà mai snaturarla dal fine della sua esistenza: la spada è nata per combattere, per essere usata.
Il pensiero, nell'ottica della filosofia dell'azione, appare come una parte soltanto del discorso più globale: precede e posticipa l'azione stessa, non puo' essere contemporaneo, in quanto l'uomo per sua natura è impossibilitato dal pensare mentre fa.
Appare addirittura controproducente: una volta fissato l'obiettivo , il tempo cambia la sua forma e diventa pastoso, denso, di difficile sopportazione. Il pensiero inquinerebbe solo l'attesa che maturi l'occasione propizia. Quindi è necessario attuare lo zazen, un esercizio spirituale in cui si sta seduti fissando una parete vuota, è quindi la radicale repressione di ogni pensiero o azione che si fa indispensabile.

L'azione, in quest'ottica, è pazienza. L'azione è sempre di tipo militare-fisico. La violenza è bellezza, una bellezza che non puo' ritornare, irripetibile. Un fuoco d'artificio che illumina la vita per un secondo, ma verso il quale si è tesi da un cammino durato anni e anni. Una bellezza apparentemente effimera ma che diventa immortale.
Il mondo dell'azione è separato dal mondo della parola. C'è solitudine, ma c'è solitudine anche nella collettività e solo la bellezza puo' far trovare la forza di superare l'angoscia e il terrore.
L'azione persegue con il suo compimento la giustizia. Pero' non è un'azione in cui, col suo risultato, si ottiene il giusto, come potremmo pensare riferendoci ad un moto popolare. No, l'azione per Mishima è essa stessa giustizia, si gonfia quindi di un valore simbolico che si autoconclude in se'.
Lo scrittore nelle sue “Lezioni spirituali per giovani samurai” punta molto sull'etica formativa del soggetto rivoluzionario.
Un uomo non inquinato, libero dalle corruzioni moderne, capace e forte , governatore del suo corpo e della sua natura. Un uomo che conosce l'arte, che conosce la bellezza di un fiore di ciliegio, che ha viaggiato. E' un soggetto fortemente elitario, come vuole la tradizione di destra. Mentre il soggetto rivoluzionario della sinistra è un uomo che sfrutta le condizioni oggettive in cui si è trovato, che si muove col popolo, che non fa azioni isolate ma che crea guerriglia, il moto popolare. E' in rapporto dialettico con il partito e con la massa. E il fine non è salvaguardare la tradizione del valore di una nazione, ma creare condizioni di vita soddisfacenti per il popolo, che si autolibera da se' tramite un'insurrezione.

Il silenzio contraddistingue l'uomo di Mishima, il samurai. Un disprezzo per la corruzione del suo paese, a partire dalla presenza di persone straniere nella sua terra. E' un uomo leale, che è concentrato sulla sua spiritualità e sul pensiero della morte, vista come atto di onore se scelta per motivazioni non tangibili. L'azione suprema si conclude sempre con la scelta della morte del samurai, che chiude perfettamente il cerchio della sua vita.

Il samurai sa che si troverà spesso davanti al fallimento, ma quest'ultimo è visto come necessario al fine del cammino intrapreso. E' la visione dell'abisso che segnerà la strada futura. Questa ricerca deve essere solitaria, personale, slegata assolutamente dall'ottica partitica.


Questa moralità così accesamente descritta da Mishima ha colpito l'immaginario collettivo di una grande parte di giovani della destra occidentale. Era diventato, dopo il suo suicidio, il Che Guevara fascista. Un suicidio deriso nel suo così difeso Giappone, mentre si trafiggeva lo stomaco era circondato da guardie che lo sbeffeggiavano. Eppure la sua azione ha creato l'effetto del sasso nell'acqua e i cerchi che si sono creati sono arrivati dovunque. I giovani , dopo averlo letto, iniziavano una cura del proprio corpo maniacale, come ricorda Marcello Veneziani, autore di una prefazione all'opera di Mishima. Aveva quindici anni e correva, correvano nel sole, verso il sole, cercavano di incarnare quel samurai.


Ma quel samurai ha sempre e solo fallito. La sua filosofia dell'azione finisce con una grassa risata, finisce con gli amici di ventura che ti disconoscono, come è successo con Casseri , l'autore della strage a Firenze, e il suo ambiente di provenienza CasaPound. Finisce ed inizia con la solitudine, e non c'è amore, c'è solo odio per una corruzione della propria vita, una nostalgia per una passato che non è mai esistito, che è immaginario.
Fa nascere solo fascismo.



LIBRO CONSIGLIATO A CHI: crede che ci sia solo pazzia isolata in alcuni gesti.

LIBRO DA ABBINARE A: L'abbinamento a qualcosa di culinario è molto ostico. Ricordiamoci che Mishima era pure contrario, tra tutte le altre cose, all'obesità. ( Il disfacimento di quei corpi non fa altro che rendere più brillante la morte dei corpi dei giovani eroi).
Siccome noi si è grassottelli e di sinistra e non andiamo favoleggiando di eroismo, e ci teniamo ad usare i nostri stomaci per altri scopi che non sia l'infilzamento, rimaniamo perplessi e con quell'aria un po' così.
Pero' diciamo che è una lettura che chiude lo stomaco, nel vero senso della parola. Inoltre la figura incombente e ascetissima del Maestro ci mette lievemente in soggezione, è palpabile la sensazione di essere osservati da lui mentre si legge.
Quindi direi che per questa volta si passa, si digiuna. Alla fine della lettura, se non ci si sente come Marcello Veneziani che correva nelle mattine di Dicembre a torso nudo, si puo' tranquillamente uscire e farsi una pizza, in onore dell'italico spirito.








martedì 8 marzo 2011

I vagabondi del Dharma di Jack Kerouac

America, anni 40. Un ragazzino di splendidissime speranze , figlio di una famiglia di rigida osservanza cattolica, si iscrive alla Columbia University, ma qualcosa non va come dovrebbe andare.
Inizia a frequentare gente strana, e’ una promessa del football ma ormai non gliene importa piu’ nulla, si annoia, inizia a fantasticare, si prende delle sbronze assurde e viaggia qua e la’ senza meta. Un po’ e’ il curriculum vitae di ogni studente che si rispetti, ma quel ragazzo di nome Jack ha creato dalla sua asineria scolastica e dalla sua ribellione una corrente letteraria, un movimento spirituale, un’ispirazione, uno shock per il puritanesimo del dopoguerra.
Jack ha creato la Beat Generation. Era talmente avanti che l’ha creata ma ha dovuto aspettare anni prima di farlo sapere al mondo. (On the road, il manifesto, fu pubblicato solo nel 1957, ma fu scritto anni prima).
Sta di fatto che questo ragazzo manda a monte tutti i sogni di belle speranze della sua famiglia, tutto l’immaginario borghese che lo accompagnava fin da piccolo e fa un lungo viaggio da un angolo all’altro del continente americano, in autostop e in autobus. Si era convinto che per ribellarsi bisognasse vagabondare e proprio da questo pellegrinaggio della rivolta nasce il senso di jack per la scrittura.
Crea il Beat. Beat come battito, ritmo, battuta, beatitudine, e’ l’unita di misura del jazz. E’ musica ossessiva e anche improvvisazione creativa (tutta la sua scrittura si puo’ riassumere con quest’ultima definizione). Ma ha anche il senso di sconfitto, vinto, perduto dopo una vicenda finita nei peggiori dei modi. E anche quest’ ultima espressione e’ intessuta in ogni filo delle sue opere: la sconfitta del non arrivare mai a niente. “ La beat generation e’ un gruppo di bambini all’angolo della strada che parlano della fine del mondo”, cosi’ aveva detto Kerouac. E di quella fine del mondo , tanto temuta e tanto sperata, tanto da potersi leggere “fine del viaggio” ne parla continuamente.
Ad un certo punto non basta piu’ niente a Jack : si imbarca con la marina, poi cambia, crea la beat generation e si forma intorno a lui una cricca di gente (e che gente, per citarne alcuni: Ferlinghetti, Ginsberg, Orlowsky e Neal Cassidy, definito “ultimo sacro idiota d’America”..) poi ha una crisi esistenziale che lo spinge prima in montagna a fare la guardia forestale e poi in Europa, a Parigi. Ma ci arriva fuori tempo massimo: non e’ piu’ la Parigi della lost generation, di Hemingway, di Gertrude Stein ,quella cosi’ incredibilmente raccontata anche nella Versione di Barney. Quindi torna in America , dove scrive i Sotterranei di San Francisco e I vagabondi del Dharma.
In quest’opera c’e’ tutto e il contrario di tutto. Kerouac era nel pieno della sua crisi mistico-religiosa (anche il nostro Jack e’ caduto nella tela della religione, quando le cose non vanno), rispolvera il suo cattolicesimo di fondo e gli da’ una mano di buddismo e zen, anche grazie a due amici del suo giro : William Emerson , poi entrato nell’ordine dei Domenicani e Philiph Lamantia, cattolico praticante.
Spiegare i Vagabondi del Dharma e’ abbastanza facile: Ray e il suo gruppo sono dei bodhisattva, ovvero gente che crede realmente nella carita’ e serena tranquillita’ e che, di conseguenza, vaga per il mondo (di solito pero’ battono palmo a palmo il triangolo New york, Citta’ del Messico e San Francisco) allo scopo di far girare un po’ piu’ velocemente la ruota del Dharma e ottenere meriti da futuro Buddha.
Le intenzioni di condurre una vita pia di studio e di ricerca ci sono tutte, ma la cosa divertente e’ che se si parla di ascesi c’e’ subito pronta l’alternativa dell’orgia, cosi’ come alla fuga e solitudine c’e’ immediatamente pronta una bevuta in compagnia. Nulla sarebbe senza l’immagine del mistico numero uno: Japhy, figlio dell’Oregon, un ragazzo che impara alla perfezione il cinese e giapponese  e che nel contempo ha interesse per il movimento anarchico. Alterna momenti di studio ascetico nella sua stanzetta a orge e bevute colossali, il tutto sembra in un perfetto equilibrio zen. Da lui si snodano le direttive spirituali da seguire : viaggi, letture, poesie , il tutto spiegato in modo tragicomicamente serio.
E’ un libro pieno di vagabondaggio, incontri piu’ o meno assurdi, bevute, dormite sui treni merci e sulle tiepide spiagge americane. Ma Kerouac fa anche di piu’, se possibile: regala scorci di quella che doveva essere la sua vita, tra viaggi e letture di poesie con le persone piu’ interessanti d’America. Ci troviamo infatti anche ad assistere ad una jam session letteraria, a San Francisco, nel quartiere cinese, tra il pubblico che urla “go, go, go!” per incitare i poeti , vino a fiumi e fini intellettuali che per capire quale sarebbe stato il prossimo avvenimento nella poesia americana frequentavano i bassifondi. ( e non viceversa, per una volta)
Kerouac ha descritto quindi se stesso: in perenne ricerca, anche infelice, alternanza tra una morale rigida e ferrea ad una morale licenziosa, la fuga, la ribellione. Ha rappresentato l’ America che dice di no, che cerca altre verita’, che aspira al diverso e alla rivolta, anche se rimane imprigionato in quella stessa rivolta.
Muore giovane, come accade spesso a chi ha troppo vissuto, nel 1969. Quasi dimenticato, perche’ la sua produzione letteraria era cessata, ma il maggio francese era ormai esploso da un anno e mezzo e stava spargendo i suoi tentacoli ovunque in Europa. Quei giovani , nelle loro tasche, avevano On the road. Neanche la morte ha fermato la beat generation.
LIBRO CONSIGLIATO A CHI: si trova sempre a proprio agio ovunque.
LIBRO DA ABBINARE: Dobbiamo calarci nella parte completamente, ritornare alla vita di Kerouac immaginandoci seduti al Greenwich Village di New York, al suo stesso tavolo (puntiamo in alto) e in compagnia di Cassidy e Allen Gisberg. Stiamo parlando del mondo, del prossimo viaggio in Giappone per poter vedere finalmente quel giardino zen di Kyoto che tanto puo’ fare per la nostra spiritualita’, ogni tanto qualcuno legge qualcosa della sua produzione e noi annuiamo con aria soddisfatta.
Probabilmente staremo bevendo una birra e fumando un sigaretta dietro l’altra per celare l’emozione di trovarsi al tavolo con i poeti che hanno disfatto e rifatto l’America, ma essendo noi per l’unione della cultura letteraria con quella materiale non possiamo esimerci dal mangiare qualcosa.
Puntiamo sulla cheesecake, dolce tipico i New York, con origine assai antica. Pare che risalga addirittura al 776 ac, quando nell’isola di Delos, venne offerto per la prima volta agli atleti. I romani , poi, esportano l’idea e piano piano si diffonde in tutta Europa. La versione americana, come sempre, esagera nei contenuti ma noi puntiamo proprio su quella.
Dobbiamo frantumare 250 gr di biscotti digestive e impastarli con zucchero di canna e 150 gr di burro sciolto. Questa formera’ la base per la nostra torta. A parte mescoliamo 2 uova intere, della vanillina, 100 gr di zucchero, 600 gr di formaggio tipo Philadelphia, del succo di limone, maizena, sale e 100 gr di panna. Si ricopre la nostra base e si inforna a 160 gradi per 30 minuti. Una volta sfornata e raffreddata la si ricopre di un mix di panna acida, zucchero, vanillina e salsa di fragola. Come si puo’ notare la ricetta originale americana e’ corposa e pesante, ma anche ribellarsi all’ordine costituito lo e’, quindi siamo in perfetto equilibrio zen.

lunedì 21 febbraio 2011

L'amore e' una budella gentile di Aldo Busi


Questa spettacolare e mai abbastanza incensata opera di Aldo Busi dovrebbe filare dritta nel bagaglio culturale di ogni brava fanciulla che si rispetti. Anzi, alziamo ancora di piu’ il tiro: dovrebbe essere inserita come obbligatoria nell’orario scolastico. Basta parlare della presunta virtu’ di Lucia , della sua educazione sentimentale, del suo santamariagorettismo di fronte a Rodrigo. Parliamo direttamente delle ragazze di provincia , quelle del popolo, quelle che lavavano le calze di nylon la sera , che mettevano i bigodini prima di andare a letto e che frequentavano il bar del paese dove passavano le ore mangiando coppe del nonno.
Partiamo dall’inizio. La primissima cosa che balza all’occhio e’ la suddivisione a meta’ della narrazione : nella prima parte ci troviamo nel dopoguerra, dentro il bar che gestiva la famiglia di Aldo Busi, il bar Fiat di Montichiari, nella profonda campagna lombarda. Meta affollata del dopolavoro degli operai che lavoravano di fronte e degli aviatori allievi della vicina caserma. Ma anche di parecchie ragazze.
Nella seconda parte , di epoca contemporanea, ci troviamo catapultati a Varese, in un incontro surreale tra lo Scrittore e Liala, nota autrice prolissa di romanzi rosa fosforescente. Ricordiamone solo alcuni : “ Ombre di fiori sul mio cammino”, “Non crescono fiori per Abigaille?” e “Il gelsomino del plenilunio”.
Trovare gli spunti che legano le due parti insieme e’ un gioco facile. Aldo Busi, nelle sere in cui serviva al bar, era spettatore delle vite di queste giovani adolescenti, confuse tra istinto e morale comune. C’era la ribelle, la timida, la bambina cresciuta troppo presto, le sorelle che arrivavano sempre insieme, tutte bellissime e tutte diverse. Tutte venivano al bar con i loro profumi di violetta e di saponetta, con i loro vestiti piu’ o meno sgualciti ma tenuti bene, venivano al bar e passano il tempo a mangiar gelati e a bere china martini nell’attesa di un qualche avvenimento eccezionale.
Erano tutte, piu’ o meno, plagiate dalle opere di Liala. Erano protagoniste di corteggiamenti spietati da parte degli aviatori, giovani che avevano dalla loro l’esoticita’ (arrivavano da regioni incredibilmente lontane tipo Puglia, Calabria e Sicilia), ai quali rispondevano con fronti corrugate, silenzi e noia. Mentre i giovani si mostravano in tutto il loro desiderio carnale e ben piantato nella realta’, le donne si mostravano altalenanti tra la curiosita’ fisica e il sogno dell’amore.
Questa scissione non fece di loro delle vergini immolate all’idea di purezza, anzi, pero’ le rese degli esseri infelici, con delle vite mai fino in fondo godute. Lo Scrittore si pone come osservatore privilegiato: avendo vissuto nello stesso paese e sempre con le stesse persone , ha potuto vedere come queste ragazzine dai rossetti troppo vistosi nell’adolescenza si fossero poi tramutate in mogli annoiate, vittime dei propri umori placentari e ideali.
Aldo Busi rincontra, a distanza di almeno una quarantina d’anni, un gruppetto di tre donne che ai tempi animavano le serate al bar Fiat. Le ritrova con le loro coppe di gelato al Rosolio e , su una sedia, ancora un libro di Liala. Sempre lei, costante negli anni. Ma cosa avra’ mai scritto di cosi’ traviante per arrivare a formare l’educazione delle fanciulle di un paio di generazioni? Chi e’? Quale e’ stata la sua vita?
Passiamo a Varese. Villa la Cucciola, dimora di Liala, ormai novantatreenne, sua figlia Primavera e la cameriera Tilla.  Aldo Busi cede alla tentazione e si fa fissare un incontro.
Si ritrova in un eremo – gineceo. Le donne abitano li’ barricate , in una bolla di ricordi e rimpianti. Tra una selva di gerani e parquet incerati di fresco, lo Scrittore incontra finalmente Liala, un corpicino magrino e ingioiellato appoggiato in un’immensa poltrona.
In uno sketch spassosissimo , tra complimenti e fraintendimenti (“ ma non sapevo che lei fosse un cosi’ bell’omoneeee, chissa’ quante donne haaa!!”) salta fuori che Liala ha scritto , in ogni suo romanzo (totale 80), la sua vicenda personale: costretta dalla madre a sposare un uomo facoltoso , mite ma non amato, conosce l’amore vero in un aviatore (ancora loro? Cosa fa questo corpo dell’esercito alle donne?) che successivamente e repentinamente affonda nelle acque gelide del lago di Varese con tutto il suo aereo, lasciandola triste e vedova pur essendo sposata.
Era un amore divertente: viaggi a velocita’ esagerata su una macchina rossa e decapottabile, incontri clandestini e rubati, focosita’ varie, un fiammifero che si e’ spento troppo in fretta per cause esterne alla volonta’ della coppia, senza lasciare la possibilita’ di spegnersi da solo, rimanendo cosi’ fissato nel momento della fiammata piu’ alta e vivida.
Liala, creatura appassionata, ricorda anche di quando fece innamorare di se’ il Sommo Vate d’Annunzio semplicemente mordendo di fronte a lui una mela. Ai tempi si usavano le posate, non di certo direttamente la bocca. Il settantaquattrenne ebbe un fremito nel suo corpo italiano ( e non stentiamo a crederlo, la sappiamo tutti la sua fama) di fronte alla sfrontata ventenne e le fece un dono particolare: un’ala. Si perche’ la scrittrice in origine si chiamava Liana, ma d’Annunzio le cambio’ il nome cambiandolo in Liala. E cosi’ fu per sempre.
Insomma, un paio di generazioni di ragazze furono traviate dall’idea di un amore dolcissimo e purissimo che mai si realizzera’ compiutamente perche’ Liala fu congelata nell’istante in cui viveva la sua relazione appassionata con l’avventato pilota.

Ma sei lui fosse stato solamente un diversivo nella sua vita di moglie-madre borghese? E se lui fosse stato solo un avventuriere? In questo caso non e’ che la morte ha donato a tutta la storia un’aurea di santita’ e glorificazione quando in realta’ di glorioso e amorevole c’era ben poco? A queste domande non avremo mai risposta, Liala era inconsapevole della sua azione educativa immensa attuata sulle donne (“ cosa ha insegnato coi suoi romanzi alle ragazze?” “ A lavarsi sempre”) e le donne stesse non sanno di essere vittime di questo misunderstending.
Ma soprattutto , Liala che ha parlato cosi’ tanto dell’amore, l’ha conosciuto veramente? A questa domanda una risposta c’e’ ed e’ nel titolo. La scrittrice ha cosi’ scritto, nel Diario Vagabondo: “ siedi li’ e impara a cucire…e non ti pungere, perche’ se ti pungi , con il sangue , esce la budella gentile. Cosi’ diceva la mia tata Annetta, ma chissa’ cos’era. Non l’ho mai saputo”.
Era l’amore, ma Liala non lo sapeva.

LIBRO CONSIGLIATO A CHI: aspetta che nella sua vita succeda qualcosa di straordinario.
LIBRO DA ABBINARE A: Qua ci vuole una ricetta complessa, dolce, leggermente stucchevole e con un bellissimo aspetto esteriore.
L’ideale sono i famosissimi cupcakes, dolcetti di origine americana e poi esportati in Inghilterra per essere ingurgitati in dose massicce all’ora del te’.
Le dosi sono le seguenti: per fare i piccoli muffin bisogna impastare 1 bicchiere di yogurth bianco, mezzo bicchiere di olio di semi, 1 bicchiere e mezzo di farina, 1 bicchiere e mezzo di zucchero, 2 cucchiaini di lievito, 2 uova.
Per ricoprirli con mousse colorate e allegre: 100 gr di burro a temperatura ambiente e zucchero a velo, piu’ colorante alimentare. Mescolare il tutto energicamente fino ad ottenere una glassa soffice e inserirla nella tasca da pasticcere. Decorare secondo la propria abilita’ ed estro.
Da mangiare con un gruppo di amiche , di pomeriggio, lamentandosi dei mariti e dei figli e pensando come sarebbe andata la propria vita se ci si fosse sposate con quell’altro.




sabato 19 febbraio 2011

Amleto di William Shakespeare



Di Shakespeare non si sa molto, la sua vita e’ rimasta invischiata in quelle nebbie che immaginiamo avvolgano le giornate inglesi. Sappiamo che fu uno dei pochi scrittori al mondo a vedersi,in vita, glorificato , amato e apprezzato. Certo, qualche brutto momento se lo dovra’ essere passato pure lui, eh, non e’ che il passaggio tra l’eta’ medioevale a quella moderna nell’isola con meno umorismo al mondo potra’ essere stata un’ epoca felicissima. L’ascesa della regina Elisabetta prima aiuto’ il mondo delle arti a godersela un po’ piu’ del solito, ma senza strafare. Non immaginiamoci un divo di Hollywood, ecco.
 Di Shakespeare non conosciamo molti eventi biografici. Questo, nei secoli, ha fatto anche nascere numerosi dubbi circa la sua persona, il suo credo, la sua sessualita’ e addirittura l’attribuzione delle sue opere. Mentre sappiamo, ad esempio, che i demoni di Dostoevskij furono assai concreti e che , anzi, furono esorcizzati con la scrittura, del Sommo Poeta inglese possiamo solo ipotizzare l’origine delle sue opere. Nascono , per noi, come dei tanti fiori in mezzo alla nebbia.
Almeno fino all’arrivo della psicanalisi,  ovviamente.
Amleto appare cosi’, d’improvviso, uno schiaffo subito dalle prime pagine.
Siamo in Danimarca, dove c’e’ molto marcio. Un castello di pietra fredda, inverno, un principe in lutto, una madre incestuosa e fintamente virtuosa, uno zio che sporca il talamo regale con la sua morale becera.
C’e’ anche un fantasma: e’ il padre assassinato di Amleto che ha la tendenza ad apparire qua e la’ di notte, spaventando gli amici del figliolo. Appare, alla fine, anche a lui e gli avvelena l’esistenza rivelandogli la causa della sua morte violenta. Gli affida anche il compito piu’ greve che un essere umano possa mai sopportare : la vendetta.
La notte dell’apparizione e della verita’ segnera’ un punto di non ritorno nelle vicende che animano il castello danese. Iniziano le morti tragiche: prima Polonio,  ucciso involontariamente dal principe con una spadata nella pancia, ma senza gran rimorsi. Poi la dolce Ofelia, la sua mente non e’ in grado di reggere la notizia della dipartita paterna e del rifiuto amoroso (era infatti la promessa sposa di Amleto, al momento in altre faccende affancendato) e vaga impazzita nelle sale del castello per poi finire suicida nelle acque gelide di un lago. Le vesti gonfie d’aria cercano di salvarla , ma la sua esistenza e’ ormai irrimediabilmente compromessa e la morte appare come l’unica via di scampo dal dolore.
Anche Laerte, l’amico caro, fuori di se’ per le recenti morti,non avra’ un destino migliore: sfida infatti Amleto a duello, nella scena finale della tragedia.
Ma va in scena anche l’ultimo tradimento che dovra’ subire il principe: Laerte , infatti, e’ venduto allo zio Claudio, sempre lui, quello che usurpa il trono e la regina. Gli suggerisce di avvelenare la punta della sua spada e di sciogliere una sostanza mortale nella coppa del vincitore.
Da li’ succede un po’ tutto quello che puo’ succedere: la regina beve inavvertitamente dalla coppa avvelenata, Amleto e Laerte, nella furia del duello, si scambiano piu’ e piu’ volte la spada, ferendosi a vicenda. Stanno tutti per morire, in fin della fiera. Laerte, prima di esalare il suo ultimo respiro, chiede perdono all’amico e gli svela il tranello malvagio nel quale sono incappati entrambi. Amleto, a sua volta con l’ultimo respiro, riesce ad uccidere finalmente lo zio usurpatore e a proclamare un nuovo re per la Danimarca (Fortebraccio che torna vincitore dalla Polonia).
Spirano tutti : madre, figlio, amico, zio. L’unica che appare veramente vincitrice e’ la memoria del padre, finalmente vendicata. Forse anche il trono di Danimarca, ripulito dal marcio che lo ricopriva, seppur con un bagno di sangue.
La tragedia shakespeariana e’ talmente angosciante e pregna di dubbi esistenziali perturbanti per il lettore che tutti i piu’ grandi intellettuali, da quando e’ stata scritta fino al futuro piu’ lontano, hanno offerto una chiave interpretativa che potesse inquadrare quest’eroe cosi’ alieno rispetto ai vecchi greci che spostavano mari e mostri con una mano e dai medioevali, conquistatori di terre e civilta’.
Amleto rifiuta la donna a lui promessa, gia’ pare sprezzante della sessualita’ e questo ci rende stupiti. Pare mortalmente invischiato nelle vicende materne, occupato a capire chi s’infila con lei sotto le lenzuola, cosa fa e perche’, la pensa sempre e, ad un certo punto, si scopre pure che ha spesso colloqui con lei nella sua camera da letto. Insomma, questo ragazzone non ne vuole sapere di staccarsi dalla veste materna e noi lettori siamo sempre piu’ dubbiosi. Si’, perche’ sembra quasi che l’onore della Danimarca passi quasi in secondo piano rispetto a quello della mamma.
Agisce poco, pensa molto. Ha la tendenza a farsi lunghi discorsi da solo e a voce alta. E’ molto emotivo. Queste caratteristiche fanno si’ che per Goethe incarni l’idea dell’eroe romantico, wertheriano, schiacciato da un’impresa piu’ grande di lui. O per lo Schlegel, molto semplicemente, appare come un grande ipocrita verso se stesso perche’ usa gli scrupoli per mascherare la sua mancanza di risolutezza.
Anche per Freud la caratteristica principale di Amleto e’ proprio la mancanza dell’azione: non ci si spiega perche’, pur essendo in tutti le condizioni materiali e morali , non uccida lo zio usurpatore. Tentenna, pensa, si interroga, nel frattempo che la sua esitazione si compie, muoiono al suo fianco un sacco di persone.
La psicanalisi risponde lanciando una bomba: il complesso di Edipo. Amleto sarebbe attratto morbosamente dalla madre (e su questo noi lettori non nutriamo dubbi) ma esiterebbe nell’uccidere Claudio proprio perche’ avrebbe una sorta di trasfert nei suoi confronti, ovvero nella persona che e’ riuscita a raggirare le convezioni sociali e morali per arrivare a fare cio’ che desiderava.
Comunque, portatore o no di disagio sociale, Amleto fa scoprire al mondo il teatro moderno, quello basato su amplissimi temi di interesse comune. Partono da una vicenda strettamente personale, come puo’ esserlo una vendetta, per arrivare a parlare delle basi dell’esistenza umana (la legittimazione del potere,l’incesto) alle idee (morte, suicidio, esistenza del sovrannaturale), i valori (onore, amore, lealta’, amicizia) e le forme sociali (gerarchia, sovranita’).
LIBRO CONSIGLIATO A CHI: pensa che le famiglie appartengano tutte al modello del Mulino Bianco.

LIBRO DA ABBINARE A: Amleto e’ imprescindibile da tante cose, ma soprattutto dalla madre. Quindi l’alimento cardine che rappresenta la mamma e’ il latte.
Dovreste essere cosi’ accorti da leggere la tragedia shakespeariana con al fianco una donna che sta allattando e , nelle pause tra un atto e l’altro, guardare il neonato che aspira al seno e lo brama  tremando di piacere, al suo visino corrucciato nell’ansia del oggetto desiderato, alla sua bocca che si apre alla vista della madre. Notate anche che tipo di soddisfazione diabolica ed esclusiva si dipinge sul volto madonnesco della puerpera.
I neonati hanno anche un olfatto sviluppatissimo: con un po’ di attenzione noterete anche che iniziano ad agitarsi quando la madre si toglie il reggiseno, perche’ riescono a sentire, anche da relativamente lontano, l’odore del latte.
Se siete particolarmente coraggiosi e in vena di immedesimazione, potreste anche sorseggiare il latte umano, tenendo ben in considerazione pero’ che sugli adulti risulta essere un potentissimo lassativo. Potreste trovarvi nella spiacevole condizione di finire la lettura nella vostra stanza da bagno.
Se al vostro fianco non avete una donna allattante, potreste cercare una balia. Se non trovate neanche una balia ( e a questo punto non vi siete impegnati a sufficienza) potreste comunque rivivere il vostro momento neonatale con una bella tazza di latte caldo e biscotti. Di notte, soli, confortati dalla tiepidita’ del latte ma segretamente impauriti dall’idea che possa apparire anche a voi un fantasma che vi affidi una tremenda vendetta.



giovedì 17 febbraio 2011

Poesie di amore e liberta' di Jacques Prevert

Una collezione di poesie che non puo’ mancare nel cuore di ogni essere umano devoto alla propria adolescenza. Si’, perche’ Prevert parla direttamente con il giovinetto anarchico che ancora vive in noi e al quale pensiamo, ogni tanto, con un po’ di nostalgia.
 Ah, quei tempi in cui non si trovava ancora utile, anzi la si vedeva solo deleteria, la funzione del Partito.
Quando speravi che il moto spontaneo e violento del popolo potesse portare gioia, istruzione e liberta’ in ogni angolo oscuro del nostro sistema.
Prevert e’ il piu’ amato tra i poeti proprio per questo motivo: ti fa sentire come se i bei tempi andati fossero ancora presenti, con tutta la loro sfrontata inesperienza e freschezza. E a chi ha passato invece un’adolescenza dietro i dettami della scuola e dei genitori e del prete crea l’illusione di aver partecipato al Maggio francese, in prima fila e con lo striscione ben steso.
Perche’ Prevert parla di liberta’, di ribellione, di bellezza,  di giovani maschi e femmine o maschi e maschi o femmine e femmine che si incontrano nelle strade parigine cosi’, per caso, e decidono di amarsi perdutamente per una notte sola. Solitamente sono alla fermata di un bus , in piedi e sotto la pioggia, con incarnati pallidi, i capelli appiccicati al volto e con uno sguardo perso dietro ad un pensiero che dona un’aria di estraneita’ al contesto.
L’amore diventa l’unica arma di salvezza in tempi bui. L’incontro con l’altro, la sensazione di farfalle nello stomaco come modo per sentirsi vivi e reagire. L’amore e’ anche quello che prova lo scolaretto incarcerato in una classe stretta e soffocata da regole rigide per la primavera che esiste fuori dalle finestre, per l’uccellino che canta la liberta’ sul ramo.
Insomma: rifiuto delle regole, delle imposizioni del sistema, della stupida’ degli adulti, del loro grigiore infettante. Lodi per l’amore che ha il rumore delle cerniere delle gonne delle donne in una stanza buia, lo schiocco dei baci, il fortuito incontro con una musa persa tra i fiori degli Champs Elysee in primavera.
LIBRO CONSIGLIATO A: chi pensa che il rispetto sia il rispetto delle regole e a chi abbia voglia di una poesia parlata.

LIBRO DA ABBINARE A: una semplice e sostanziosa zuppa di cipolle.
Effettivamente serve abbinare questa collezione di poesie ad una ricetta francese, magari riadattata secondo i nostri gusti. Serve comunque un piatto che sappia di Tour Effeil . Su questo punto non si transige.
La zuppa di cipolle e’ una cosa deliziosa e si fa in brevissimo tempo, soli 10 minuti. Adatta quindi ai giovani che invitano nel loro appartamento in condivisione con altri studenti una ragazza, per una cenetta. Il giovane in questione serve che sia appena uscito dall’epoca dei brufoli, abbia un sacro timore per tutto cio’ che e’ femminile, abbia una scarsa conoscenza dell’altro sesso, quindi, ma con gran voglia di approfondire il discorso. Deve essere anche, preferibilmente, impegnato in una occupazione universitaria.
Il tavolo della cucina deve essere occupato da bottiglie vuote di vino, di portaceneri zeppi, una tovaglia con strani aloni ma non cambiata (il rifiuto per i lavori domestici e’ pur sempre segno di intellettualita’ ).
Il nostro eroe stupira’ comunque la sua giovinetta, oltre che declamando Prevert, con un set di pentoline di coccio nelle quali fara’ soffriggere in una buona dose di burro delle cipolle freschissime infarinate. Aggiungera’ dell’acqua, sale, pepe e fara’ sobbollire per almeno una decina di minuti.
Versera’ la zuppa in cocci contenenti fette di pane abbrustolite e parecchio formaggio svizzero. (con buona pace dei francesi).
Mangeranno in silenzio, si leggeranno altre due poesie e si avvieranno verso il letto, a scoprire la freschezza, la giovinezza e la rivoluzione.

La danza del gabbiano di Andrea Camilleri


Parlare di un libro della saga di Montalbano e’ sempre un piacere, sia per la mente, che per le dita che per il palato.
La Sicilia si respira ad ogni riga: non e’ solo il dialetto che spinge il lettore oltre lo stretto di Messina, e’ anche il carattere dei personaggi, i ragionamenti dell’ispettore per arrivare alla soluzione del dubbio, il disegno mentale che ti crea Camilleri con le sue vicende.
Insomma, come dire: la lettura ti fa diventare siciliano.
La danza del gabbiano e’ un libro particolarmente oscuro, di difficile digestione, con una buona dose di ansia e paura che stringe lo stomaco ma che ti costringe al divoramento dell’opera per scoprire, con molto voyerismo , fino a che abisso sporco puo’ arrivare l’essere umano.
Gia’ l’inizio del libro e’ perturbante: Montalbano si scopre spettatore della danza di morte di un gabbiano. Sulla sabbia, l’uccello, inscena questo ultimo spettacolo pieno di dolore e grida, lasciandosi andare con infinito strazio al suo destino. Destino infame ancora prima del decesso, segnato dalla costatazione che questi grandi animali marini, una volta abituati alla pesca di pesci nell’acqua piu’ limpida del mare aperto, si sono degradati alla lotta con i topi  per una carcassa nelle piu’ squallide discariche della citta’.
“Eppure l’acqua e’ pulita, perche’ si sono ridotti a cercare nella spazzatura?” si chiede Montalbano.
Il quesito, da naturalistico, diventa ben presto morale. Il gabbiano simboleggia, ogni pagina sempre di piu’, la natura ambigua dell’animo umano e l’ispettore si trova invischiato nella scomparsa del suo fidato Fazio e della ricerca del suo corpo in pozzi profondi, vere e proprie spaccature della terra in luoghi isolati ,lontani dalla civilta’ e dalla ragione.
Vengono alla luce due cadaveri, ma Fazio verra’ trovato vivo e confuso, con un trauma da elaborare e inizia l’ansia per la sua protezione, una persona da proteggere dalla furia e dalla bestialita’ di due sgherri mafiosi.
Il libro si snoda poi sul racconto di esistenze tristi, passioni sanguinarie, bassezze di ogni genere, segreti captati con binocoli e spiati dietro una tenda, amori torbidi , odori cattivi, putrefazioni , uomini che non sono uomini ma caricature per compiacere il laido politico di turno.
Il soffocamento colpisce Montalbano, la sua coscienza viene messa a dura prova. L’amore lontano di Livia, il tempo che scorre tra le dita, anche quello biologico, segnano dei punti a favore contro i sentimenti dell’ispettore.
Alla fine della lettura ci si sente stanchi, come quando non si dorme da giorni, con gli occhi pesanti e lo stomaco vuoto di chi ha l’organo chiuso ermeticamente dalle torture descritte e dalla nausea che ne consegue.
Per la prima volta, forse, in un romanzo di Camilleri ci si sente non in preda alla fame ma allo sgomento.
In realta’ e’ una sensazione che dura abbastanza poco: l’ironia non manca, Catarella e le sue smarronate ci sono ancora, il ristorante da Enzo c’e’ ed e’ sempre al suo posto. Il mosaico piano piano si ricompone, ogni tessera va al suo posto, Montalbano riesce , con l’aiuto del gabbiano-totem, a cancellare l’atomosfera soffocante ed aprire le finestre per far entrare aria nuova nella casa delle torture.
Si finisce il libro con un gran sospiro di sollievo : almeno qua il mafioso politicante viene incarcerato con la maggior infamia possibile e l’ispettore puo’ finalmente mangiare un enorme piatto di caponatina preparata da Adelina. Sempre con una tanticchia di malinconia , assittata di fianco a lui e a noi .

LIBRO CONSIGLIATO A CHI: crede che la vita sia bella.

LIBRO DA ABBINARE A: Il libro e’, inutile nasconderlo, di difficile digestione. Si pensa molto, ma secondo noi questo non puo’ essere un motivo per non mangiare, quindi diciamo che si e’ presi dalla frenesia delle indagini e dalla mancanza di sonno, dall’ansia per il destino di Fazio, l’orrore per le torture e l’indignazione per la brutalita’ dell’essere umano.
In questa situazione non si puo’ fare un pasto completo con tutti crismi. Il fatto che siamo in Sicilia non attenua, anzi, dobbiamo affidarci ad una cosa veloce da ingurgitare per non sconcentrarci. L’ isola, in questo, aiuta con la sua estrema varieta’ di prodotti da passeggio. Per una volta niente tovaglie bianche e posate lucide, nessuna vista del mare, nessun odore frizzante di iodio nei polmoni.
Abbiamo optato per l’ ‘mbriulata. Una focaccia tipica della zona di Caltanisetta, cucinata da secoli dalle donne che volevano dare al proprio uomo che stava tutto il giorno in campagna un piatto unico, sostanzioso e veloce. Perche’ noi siamo li’, lontani da tutto e tutti, davanti ai pozzi, aspettando di vedere cosa esce da essi, portati per mano da Camilleri, fumando con lui una sigaretta dietro l’altra.
La ‘mbriulata si fa con la farina 00 e quella di semola. Si crea una palla di pasta con acqua e lievito di birra, la si lascia riposare per mezz’ora in un luogo tiepido e asciutto, tipo dentro il forno o in un canovaccio vicino alla  finestra, in caso voi abitiate al sud.
Si prende una bella padella antiaderente, si fa cuocere un paio di patate con olio, tritato di polpa di manzo e di maiale e qualche oliva nera. Si prende questo trito profumato e lo si stende sulla pasta tirata, si spolvera con parecchio pecorino grattuggiato e si arrotola il tutto, cercando poi di dare alla focaccia una forma a spirale, come quella dell’immagine.
Si mangia velocemente, preferibilmente aspettando che un cadavere venga ritrovato, da soli e poi fumando un paio di sigarette.






Dove si spiega il perche'

LO SPEZZATINO DI DOSTOEVSKIJ
Blog di cultura letteraria e culinaria

Questo blog nasce dalla semplice idea di coniugare un buon piatto della tradizione culinaria italiana o internazione con un’opera letteraria. Una sintesi hegeliana che vuole rompere i soliti schemi di vino- cibo (per quanto apprezzato) e letteratura di per se’, isolata un mondo elitario spesso ascetico, magro, basato sulla concentrazione della mente e dello sprezzo intellettuale per i piaceri della vita.
Perche’ non leggere un libro mentre si mangia o viceversa?
Gli esperti si affrettano a consigliarci di consumare i nostri pasti in una tranquillita’ borghese e casalinga, senza ansie e patemi d’animo, che si mal conciliano con le vicende travagliate dei nostri eroi di carta.
Noi crediamo che ogni momento sia buono per leggere.
E anche che ogni momento sia buono per mangiare.
L’apoteosi si raggiunge quando questi due piaceri si uniscono, magari seduti al tavolo con una mano impegnata nello sforchettare e l’altra a sfogliare pagine.
Perche’ noi crediamo che due piaceri non si annullino a vicenda, anzi: il godimento raddoppia. Noi siamo gente con sufficiente concentrazione per fare bene entrambe le cose!
Il mondo della letteratura abbinata al cibo e’ ancora, in parte, inesplorata. Ci muoviamo a tentoni, sempre in bilico su un filo con sotto un baratro pieno di sbagli che potrebbero risultati indigesti.
La luce che ci seguira’ in questa ricerca sara’ , altrettanto semplicemente, la suggestione che l’opera suggerira’al nostro intuito. Perche’ la lettura crea sentimenti e altrettanto fa il cibo: il colore di queste emozioni, spesso, si confondono l’uno nell’altra.
Ci ritroviamo cosi’ ad immaginare una Pietroburgo fredda e innevata, ricordarsi dei nostri inverni da bambine, quelli freddissimi del nord e guardati dalla finestra appannata dal vapore che usciva dalle pentole della mamma sul fuoco : et voila’, uno spezzatino di carne e patate fa cosi’ capolino nei nostri pensieri. Abbinare questo piatto semplice e gustoso ad un romanzo di Dostoevskij e’ cosi’ fatto.
Vi auguro che la lettura possa essere per voi piacevole come lo scricchiolio di una buccia di cannolo sotto i denti in una giornata tiepida.