giovedì 15 dicembre 2011

LEZIONI SPIRITUALI PER GIOVANI SAMURAI di YUKIO MISHIMA

Questa volta prendiamo tra le mani un'opera di scarsa maneggevolezza, soprattutto per chi ha passato gran parte della sua vita in ambienti politici legati alla cultura di sinistra.
L'etica raccontata in questo scritto è ostica, di difficile comprensione, ma ora più che mai si rende necessario questo sforzo interpretativo. Le tensioni sociali che stiamo attraversando in questo periodo storico aumentano le azioni singole di persone con un background appartenente ad un mondo che affonda le sue radici anche in quella moralità espressa da Mishima stesso.


Yukio Mishima nasce a Tokyo nel 1925, in una famiglia borghese. Viene sottratto alla madre appena nato e cresciuto dalla nonna paterna, donna con una solita cultura artistica e legata ai valori del Giappone tradizionale. Avrà su di lui una grande influenza non solo teorica ma anche pratica, sceglierà per lui gli studi e lo indirizzerà verso un'educazione rigida e militare.
Ma la poesia farà presto capolino nella sua vita, inizierà da molto giovane a scrivere per il giornale della scuola e questa sarà una passione che lo accompagnerà sempre, anche durante gli studi di Giurisprudenza e il primo impiego come funzionario pubblico. (che in seguito lascerà per dedicarsi completamente alla scrittura, ma sempre dopo aver ottenuto l'approvazione della famiglia).

Vive una vita da scrittore controverso: celebrato all'estero, stroncato , quasi sbeffeggiato, in patria.
Si dichiara costantemente “apolitico” , ma il suo mondo di riferimento è quello della destra ultraconservatrice, ed è proprio da questo mondo che verrà ripreso e diffuso.

Lo scrittore si rifà ad un ideale ormai perduto di Giappone, un'astrattezza che viene incarnata dall' Imperatore, una figura amata e celebrata, ma non in quanto personaggio storico o autoritario, ma proprio come incarnazione dello Spirito Giapponese.
Fonda l' Associazione degli Scudi : un'organizzazione di 100 giovani selezionati da Mishima stesso, un vero e proprio esercito che pero' ha puramente una funzione simbolica. Si pongono come “guardia personale dell'Imperatore” , difendono quindi l'ideale del Giappone dall'inquinamento estero, salvaguardando l'etica tradizionale.
Mishima fonda questo esercito paramilitare anche in aperta critica contro il Trattato di S. Francisco del 1951, dove viene sancita la sottomissione del Giappone agli Stati Uniti e viene ratificato l'ordine di non possedere un esercito.
Ma l'esercito, l'azione militare, per lo scrittore è uno dei valori fondanti della società giapponese. Togliere questa possibilità significa castrare una nazione, pervertire le menti dei giovani e corromperle con la vuotezza della società occidentale.

Mishima arriva al 25 Novembre 1970 , il suo ultimo giorno di vita. Dopo aver occupato simbolicamente il Ministero della Difesa e aver letto il suo famoso proclama sulla terrazza del palazzo, in diretta tv, esegue il Seppuku, il suicidio rituale.
Si trafigge lo stomaco con la sua personale spada e, immediatamente dopo, viene decapitato dal suo prediletto. Il quale pero' sbaglia per ben due volte il colpo di grazia e decide così di suicidarsi in quel momento per la vergogna.

In questo bagno di sangue sfocia la sua scrittura, la sua azione. E non poteva essere altrimenti.


Per Mishima, infatti, la scoperta della verità è frutto dell'unità tra azione e pensiero. Trae ispirazione direttamente da Wang Yang Ming (1475-1529) e la sua etica dei Samurai, che diventa l'essenza della Giapponesità.
I dubbi esistenziali degli uomini devono trarre la loro naturale conclusione e risoluzione in un linguaggio definito “di carne” , contrapposto alla vacuità di quello di sole parole.
Le parole che accompagnano questa ricerca devono essere: riserbo, lealtà, spiritualità.

La filosofia dell'azione, che è il cammino di ogni samurai, è teso verso un obiettivo. Compagna di questo percorso, la propria spada. La quale, pero', non bisognerà mai snaturarla dal fine della sua esistenza: la spada è nata per combattere, per essere usata.
Il pensiero, nell'ottica della filosofia dell'azione, appare come una parte soltanto del discorso più globale: precede e posticipa l'azione stessa, non puo' essere contemporaneo, in quanto l'uomo per sua natura è impossibilitato dal pensare mentre fa.
Appare addirittura controproducente: una volta fissato l'obiettivo , il tempo cambia la sua forma e diventa pastoso, denso, di difficile sopportazione. Il pensiero inquinerebbe solo l'attesa che maturi l'occasione propizia. Quindi è necessario attuare lo zazen, un esercizio spirituale in cui si sta seduti fissando una parete vuota, è quindi la radicale repressione di ogni pensiero o azione che si fa indispensabile.

L'azione, in quest'ottica, è pazienza. L'azione è sempre di tipo militare-fisico. La violenza è bellezza, una bellezza che non puo' ritornare, irripetibile. Un fuoco d'artificio che illumina la vita per un secondo, ma verso il quale si è tesi da un cammino durato anni e anni. Una bellezza apparentemente effimera ma che diventa immortale.
Il mondo dell'azione è separato dal mondo della parola. C'è solitudine, ma c'è solitudine anche nella collettività e solo la bellezza puo' far trovare la forza di superare l'angoscia e il terrore.
L'azione persegue con il suo compimento la giustizia. Pero' non è un'azione in cui, col suo risultato, si ottiene il giusto, come potremmo pensare riferendoci ad un moto popolare. No, l'azione per Mishima è essa stessa giustizia, si gonfia quindi di un valore simbolico che si autoconclude in se'.
Lo scrittore nelle sue “Lezioni spirituali per giovani samurai” punta molto sull'etica formativa del soggetto rivoluzionario.
Un uomo non inquinato, libero dalle corruzioni moderne, capace e forte , governatore del suo corpo e della sua natura. Un uomo che conosce l'arte, che conosce la bellezza di un fiore di ciliegio, che ha viaggiato. E' un soggetto fortemente elitario, come vuole la tradizione di destra. Mentre il soggetto rivoluzionario della sinistra è un uomo che sfrutta le condizioni oggettive in cui si è trovato, che si muove col popolo, che non fa azioni isolate ma che crea guerriglia, il moto popolare. E' in rapporto dialettico con il partito e con la massa. E il fine non è salvaguardare la tradizione del valore di una nazione, ma creare condizioni di vita soddisfacenti per il popolo, che si autolibera da se' tramite un'insurrezione.

Il silenzio contraddistingue l'uomo di Mishima, il samurai. Un disprezzo per la corruzione del suo paese, a partire dalla presenza di persone straniere nella sua terra. E' un uomo leale, che è concentrato sulla sua spiritualità e sul pensiero della morte, vista come atto di onore se scelta per motivazioni non tangibili. L'azione suprema si conclude sempre con la scelta della morte del samurai, che chiude perfettamente il cerchio della sua vita.

Il samurai sa che si troverà spesso davanti al fallimento, ma quest'ultimo è visto come necessario al fine del cammino intrapreso. E' la visione dell'abisso che segnerà la strada futura. Questa ricerca deve essere solitaria, personale, slegata assolutamente dall'ottica partitica.


Questa moralità così accesamente descritta da Mishima ha colpito l'immaginario collettivo di una grande parte di giovani della destra occidentale. Era diventato, dopo il suo suicidio, il Che Guevara fascista. Un suicidio deriso nel suo così difeso Giappone, mentre si trafiggeva lo stomaco era circondato da guardie che lo sbeffeggiavano. Eppure la sua azione ha creato l'effetto del sasso nell'acqua e i cerchi che si sono creati sono arrivati dovunque. I giovani , dopo averlo letto, iniziavano una cura del proprio corpo maniacale, come ricorda Marcello Veneziani, autore di una prefazione all'opera di Mishima. Aveva quindici anni e correva, correvano nel sole, verso il sole, cercavano di incarnare quel samurai.


Ma quel samurai ha sempre e solo fallito. La sua filosofia dell'azione finisce con una grassa risata, finisce con gli amici di ventura che ti disconoscono, come è successo con Casseri , l'autore della strage a Firenze, e il suo ambiente di provenienza CasaPound. Finisce ed inizia con la solitudine, e non c'è amore, c'è solo odio per una corruzione della propria vita, una nostalgia per una passato che non è mai esistito, che è immaginario.
Fa nascere solo fascismo.



LIBRO CONSIGLIATO A CHI: crede che ci sia solo pazzia isolata in alcuni gesti.

LIBRO DA ABBINARE A: L'abbinamento a qualcosa di culinario è molto ostico. Ricordiamoci che Mishima era pure contrario, tra tutte le altre cose, all'obesità. ( Il disfacimento di quei corpi non fa altro che rendere più brillante la morte dei corpi dei giovani eroi).
Siccome noi si è grassottelli e di sinistra e non andiamo favoleggiando di eroismo, e ci teniamo ad usare i nostri stomaci per altri scopi che non sia l'infilzamento, rimaniamo perplessi e con quell'aria un po' così.
Pero' diciamo che è una lettura che chiude lo stomaco, nel vero senso della parola. Inoltre la figura incombente e ascetissima del Maestro ci mette lievemente in soggezione, è palpabile la sensazione di essere osservati da lui mentre si legge.
Quindi direi che per questa volta si passa, si digiuna. Alla fine della lettura, se non ci si sente come Marcello Veneziani che correva nelle mattine di Dicembre a torso nudo, si puo' tranquillamente uscire e farsi una pizza, in onore dell'italico spirito.








6 commenti:

  1. Quello è uno dei saggi più belli che sin ora abbia letto. Un distillato di pienezza.

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  2. Mi dispiace constatare che questo scritto contiene delle inesattezze e rivela una conoscenza assai superficiale della vita e della poetica di Yukio Mishima, a cominciare da questa affermazione: "Vive una vita da scrittore controverso: celebrato all'estero, stroncato , quasi sbeffeggiato, in patria." Ma quando mai! Già a partire dagli anni '50 Mishima ottiene grande successo con romanzi quali "Confessioni di una maschera" e "Sete d'amore", che presto vengono tradotti in inglese, francese e altre lingue (italiano compreso, da Feltrinelli) e lo consacrano come uno dei più interessanti scrittori giapponesi della sua generazione, assieme a Yasunari Kawabata, Kobo Abe e altri ancora. Successo che lo renderà una "public figure" in patria e all'estero.

    Il problema però di fondo è che Francesca pretende di evincere *tutta* la poetica di Mishima da *uno solo* dei suoi numerosi scritti, e per di più nemmeno dauno scritto narrativo, ma da un breve saggio (anzi, una raccolta di saggi nell'edizione italiana) che risale a un periodo ben preciso della vita dell'autore, cioè la metà degli anni '60, quando si lasciò letteralmente prendere la mano da quel personaggio pubblico che aveva, più o meno consapevolmente, costruito nel tentativo - sul modello dei suoi amati decadenti europei di fine Ottocento - di far coincidere arte e vita.

    Ho l'impressione che Francesca non abbia mai letto assolutamente null'altro di Mishima e non sappia quindi che l'autore ha attraversato, prima della sua morte - che egli preparò meticolosamente, come l'ultimo atto della sua tragedia personale - tutta una parabola artistica ed esistenziale costellata di momenti anche contraddittori tra loro. Basti ricordare, in questa sede, che fino all'inizio degli anni '60 Mishima passava, negli ambienti letterari giapponesi, come autore "impegnato" e "di sinistra" per il modo in cui dipingeva con ironia pungente l'alta borghesia giapponese (un po' simile in questo a Truman Capote) in romanzi come "Abito da sera" o "Colori proibiti"; e che per il romanzo "Dopo il banchetto", di cui parte integrante sono la denuncia dell'uso della disinformazione in campagna elettorale del Partito Liberal-Democratico (il partito storico di centro-destra giapponese al potere dal 1945, identificatosi con lo Stato in un groviglio di affarismo e corruzione che ricorda la nostra vecchia DC) contro il Partito Socialista, Mishima fu accusato di essere un "rosso" e minacciato di morte da quegli stessi ambienti che dopo il suo suicidio ne faranno un martire. [segue]

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  3. [continua] Altra nota riguardo al fatto che "Mishima era pure contrario, tra tutte le altre cose, all'obesità"; in realtà Mishima voleva, attraverso la pratica del culturismo e dello sport, rievocare l'ideale greco dell'areté come coincidenza tra perfezionamento fisico e mentale, e nel contempo contrastare l'immagine tradizionale dell'intellettuale come un individuo perennemente seduto in poltrona o alla scrivania. In ciò vi era pure l'orrore dichiarato per il decadimento fisico e per la vecchiaia, causati da ricordi di infanzia che lo perseguitarono per tutta la vita - la figura imponente della vecchia nonna che lo sottrasse alla madre per i primi anni di vita; una malattia polmonare contratta a sette anni che quasi lo uccise; le derisioni dei compagni di scuola per il suo fisico gracile. Va da sé che per questo la destra nostrana lo ha trasformato, ahimé, in una sorta di Farinacci giapponese.

    Se quindi da un lato Mishima certo non può essere considerato, nel complesso, un autore "di sinistra", nemmeno può essere sbrigativamente etichettato come "fascista", in quanto figura difficile da decifrare e incasellare entro coordinate precise: il nesso inscindibile tra amore e morte o il debito riconosciuto verso autori quali Dostoevskij, Radiguet o Racine, che ne fece ben presto il più occidentale degli scrittori giapponesi, si accompagnano in lui al tentativo di contrastare la trasformazione del Giappone in un angolo di mondo tanto ipertecnologizzato quanto privo di "anima". Malgrado la sua rivolta, come ogni rivolta borghese, abbia come esito l'autodistruzione, in lui si trova un grido verso la vita, una disperata tensione alla conciliazione tra l'ideale e il reale, che sarebbe impossibile ignorare.

    Ma questo lo si può capire solo leggendo i suoi romanzi e racconti, e alcuni saggi, tra cui "Mishima o la visione del vuoto" di Marguerite Yourcenar, non certo prendendo uno solo dei suoi scritti - peraltro atipico nel panorama della sua produzione - e isolandolo da tutto il resto.

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  4. ...chiedo venia se abuso di questo spazio, volevo dire:
    "...di cui parte integrante è la denuncia..." (revisione maldestra);
    "...in una sorta di Starace giapponese" (per l'ossessione della forma fisica, di cui i fascisti non vedono altro che l'aspetto più spettacolare, ignorandone il dramma personale che ne stava alla base; ma ciò vale per tutto il personaggio Mishima, in effetti, a maggior ragione se si pensa che Starace, come il ben più violento Farinacci, erano nemici giurati della "cultura").

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    1. devo dire che avendo letto un solo romanzo di Mishima, tra l'altro almeno una ventina di anni fa!, leggendo sto blog sono rimasta scioccata, non riusciendo in nessun modo a far combaciare quelli che erano i miei ricordi a questa descrizione di un autore che qui appare essere un'altra persona. Poi leggendo i tuoi commenti mi si è risollevato l'animo: non sono così vecchia da confondere i miei antichi ricordi... grazie

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  5. Ciao,
    scusa tanto, adoro il tuo blog, e trovandomi nel bel mezzo di una nuova catena di sant'Antonio moderna che mi chiede di premiare dei blogger ho scelto te
    quindi passa pure a ritirare il tuo premio, anche senza passare dal via!!!

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