giovedì 17 febbraio 2011

La danza del gabbiano di Andrea Camilleri


Parlare di un libro della saga di Montalbano e’ sempre un piacere, sia per la mente, che per le dita che per il palato.
La Sicilia si respira ad ogni riga: non e’ solo il dialetto che spinge il lettore oltre lo stretto di Messina, e’ anche il carattere dei personaggi, i ragionamenti dell’ispettore per arrivare alla soluzione del dubbio, il disegno mentale che ti crea Camilleri con le sue vicende.
Insomma, come dire: la lettura ti fa diventare siciliano.
La danza del gabbiano e’ un libro particolarmente oscuro, di difficile digestione, con una buona dose di ansia e paura che stringe lo stomaco ma che ti costringe al divoramento dell’opera per scoprire, con molto voyerismo , fino a che abisso sporco puo’ arrivare l’essere umano.
Gia’ l’inizio del libro e’ perturbante: Montalbano si scopre spettatore della danza di morte di un gabbiano. Sulla sabbia, l’uccello, inscena questo ultimo spettacolo pieno di dolore e grida, lasciandosi andare con infinito strazio al suo destino. Destino infame ancora prima del decesso, segnato dalla costatazione che questi grandi animali marini, una volta abituati alla pesca di pesci nell’acqua piu’ limpida del mare aperto, si sono degradati alla lotta con i topi  per una carcassa nelle piu’ squallide discariche della citta’.
“Eppure l’acqua e’ pulita, perche’ si sono ridotti a cercare nella spazzatura?” si chiede Montalbano.
Il quesito, da naturalistico, diventa ben presto morale. Il gabbiano simboleggia, ogni pagina sempre di piu’, la natura ambigua dell’animo umano e l’ispettore si trova invischiato nella scomparsa del suo fidato Fazio e della ricerca del suo corpo in pozzi profondi, vere e proprie spaccature della terra in luoghi isolati ,lontani dalla civilta’ e dalla ragione.
Vengono alla luce due cadaveri, ma Fazio verra’ trovato vivo e confuso, con un trauma da elaborare e inizia l’ansia per la sua protezione, una persona da proteggere dalla furia e dalla bestialita’ di due sgherri mafiosi.
Il libro si snoda poi sul racconto di esistenze tristi, passioni sanguinarie, bassezze di ogni genere, segreti captati con binocoli e spiati dietro una tenda, amori torbidi , odori cattivi, putrefazioni , uomini che non sono uomini ma caricature per compiacere il laido politico di turno.
Il soffocamento colpisce Montalbano, la sua coscienza viene messa a dura prova. L’amore lontano di Livia, il tempo che scorre tra le dita, anche quello biologico, segnano dei punti a favore contro i sentimenti dell’ispettore.
Alla fine della lettura ci si sente stanchi, come quando non si dorme da giorni, con gli occhi pesanti e lo stomaco vuoto di chi ha l’organo chiuso ermeticamente dalle torture descritte e dalla nausea che ne consegue.
Per la prima volta, forse, in un romanzo di Camilleri ci si sente non in preda alla fame ma allo sgomento.
In realta’ e’ una sensazione che dura abbastanza poco: l’ironia non manca, Catarella e le sue smarronate ci sono ancora, il ristorante da Enzo c’e’ ed e’ sempre al suo posto. Il mosaico piano piano si ricompone, ogni tessera va al suo posto, Montalbano riesce , con l’aiuto del gabbiano-totem, a cancellare l’atomosfera soffocante ed aprire le finestre per far entrare aria nuova nella casa delle torture.
Si finisce il libro con un gran sospiro di sollievo : almeno qua il mafioso politicante viene incarcerato con la maggior infamia possibile e l’ispettore puo’ finalmente mangiare un enorme piatto di caponatina preparata da Adelina. Sempre con una tanticchia di malinconia , assittata di fianco a lui e a noi .

LIBRO CONSIGLIATO A CHI: crede che la vita sia bella.

LIBRO DA ABBINARE A: Il libro e’, inutile nasconderlo, di difficile digestione. Si pensa molto, ma secondo noi questo non puo’ essere un motivo per non mangiare, quindi diciamo che si e’ presi dalla frenesia delle indagini e dalla mancanza di sonno, dall’ansia per il destino di Fazio, l’orrore per le torture e l’indignazione per la brutalita’ dell’essere umano.
In questa situazione non si puo’ fare un pasto completo con tutti crismi. Il fatto che siamo in Sicilia non attenua, anzi, dobbiamo affidarci ad una cosa veloce da ingurgitare per non sconcentrarci. L’ isola, in questo, aiuta con la sua estrema varieta’ di prodotti da passeggio. Per una volta niente tovaglie bianche e posate lucide, nessuna vista del mare, nessun odore frizzante di iodio nei polmoni.
Abbiamo optato per l’ ‘mbriulata. Una focaccia tipica della zona di Caltanisetta, cucinata da secoli dalle donne che volevano dare al proprio uomo che stava tutto il giorno in campagna un piatto unico, sostanzioso e veloce. Perche’ noi siamo li’, lontani da tutto e tutti, davanti ai pozzi, aspettando di vedere cosa esce da essi, portati per mano da Camilleri, fumando con lui una sigaretta dietro l’altra.
La ‘mbriulata si fa con la farina 00 e quella di semola. Si crea una palla di pasta con acqua e lievito di birra, la si lascia riposare per mezz’ora in un luogo tiepido e asciutto, tipo dentro il forno o in un canovaccio vicino alla  finestra, in caso voi abitiate al sud.
Si prende una bella padella antiaderente, si fa cuocere un paio di patate con olio, tritato di polpa di manzo e di maiale e qualche oliva nera. Si prende questo trito profumato e lo si stende sulla pasta tirata, si spolvera con parecchio pecorino grattuggiato e si arrotola il tutto, cercando poi di dare alla focaccia una forma a spirale, come quella dell’immagine.
Si mangia velocemente, preferibilmente aspettando che un cadavere venga ritrovato, da soli e poi fumando un paio di sigarette.






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